Abbiamo deciso di intervistare il professor Alberto Lanzavecchia, docente dell’università di Padova, per comprendere al meglio il tema dell’ambiente scolastico e della comunità
Jessica: “Volevamo iniziare da una domanda un po’ più semplice ovvero, dove lavora e in che cosa consiste il suo mestiere?”
Professore Lanzavecchia: “Lavoro all’università di Padova e sono un docente di finanza aziendale e di micro finanza. È un po’ complicato da spiegare…allora la finanza aziendale è finanza delle aziende, imprese, società mentre la micro finanza si occupa di persone in giro per il mondo in paesi un pochino diversi dal nostro”
Jessica: “Da quanto tempo fa questo lavoro?”
Professore Lanzavecchia: “A Padova dal 2010, due anni prima a Parma quindi si può dire che ho iniziato questo lavoro dal 2008”
Jessica: “Perché hai deciso di insegnare?”
Professore Lanzavecchia: “In effetti ho fatto un percorso un po’ a “zig zag” perché prima di insegnare lavoravo nella finanza e mi occupavo di consulenza e di speculazione finanziaria; poi ho visto che quel mestiere arricchiva singole persone e poi, insomma, danneggiava un po’ in giro per cui ho pensato di tronare alle origini tra i banchi di scuola. Cercavo un percorso che potesse aiutare gli altri e quindi sono tornato a studiare, diventando insegnante.”
Jessica: “Quali sono i lati positivi e negativi del suo lavoro?”
Professore Lanzavecchia: “Quando insegni non riesci a renderti conto se stai insegnando bene o male, al liceo per esempio è più facile vedere il risultato della tua operazione didattica mentre all’università è come una semina, semini e qualche studente fiorirà mentre qualcun altro potrebbe non farcela. Un altro lato negativo è che io non sarò presente in quel momento quindi non riesci mai a vedere il frutto della tua semina.”
Jessica: “Quale rapporto ha con gli studenti e colleghi?”
Professore Lanzavecchia: “Ci sono due tipi di studenti: allora, alcuni pensano di essere ancora alle superiori e vengono in aula ancora con l’approccio delle superiori, vogliono avere subito la conoscenza su formule e leggi con una formazione passiva come con un contenitore da riempire anziché pensare a un proprio futuro nel mondo; altri studenti invece cercano un proprio ruolo nel mondo, sono desiderosi di trovare il proprio posto, far qualcosa di utile non necessariamente per se stessi ma anche per gli altri , alcuni vengono per capire cosa faranno da grandi ecc… Tendenzialmente, ahimè, sono di più quelli del primo tipo che vengono per essere riempiti di nozioni. Quelli che invece danno soddisfazione sono gli altri. Magari a distanza di 5/10 anni ti scrivono un email e ti ringraziano, e tu da lì capisci che il fiore è sbocciato, la tua semina fatta dieci anni prima è diventata qualcosa. Per quanto riguarda i colleghi anche lì ci sono due tipi principalmente: ci sono docenti che, insomma, fanno due mestieri, insegnano e cercano, bisogna sempre andare a vedere cosa c’è di nuovo ma ricordando sempre di insegnarlo, raccontarlo e spiegarlo agli studenti. Alcuni dei miei colleghi sono ottimi ricercatori, appassionati infiniti della ricerca, ma magari sono pessimi insegnanti a cui non piace neanche insegnare. Altri invece sono appassionati educatori / comunicatori ma hanno difficolta a inserirsi nei progetti di ricerca o hanno degli approcci diversi. Quindi ci possono essere conflitti tra colleghi perché si hanno approcci diversi o perché qualcuno uno è un bravo collega e per l’altro no, viceversa.”
Jessica: “Tu hai iniziato la tua carriera di insegnate come seconda scelta perché prima facevi altro ma hai mai pensato di lasciare il tuo lavoro di insegnante?”
Professore Lanzavecchia: “Finché gli studenti, perché io faccio questo lavoro per gli studenti non per la ricerca, mi daranno la soddisfazione che l’ultima analisi è il motivo per cui uno insegna allora continuerò a insegnare. Tu fai l’insegnate non per lo stipendio che ricevi, che poi è poco, o per i colleghi che hai che tra l’altro non li hai neanche scelti tu cosa che fai invece con gli amici, non è da questi contorni che arriva la soddisfazione ma dal piacere di insegnare, per gli studenti, trovi soddisfazione per quello che fai finché gli studenti daranno segno che sei utile. Quando magari vedi che, o perché sei invecchiato o comunque hai perso entusiasmo e vedi che gli studenti non dimostrano più di trovare utile il tuo lavoro allora lì io toglierò il disturbo.”
Irene: “Ok, per quanto riguarda le responsabilità, quali sono le più pesanti e le più importati del tuo lavoro?”
Professore Lanzavecchia: “La più grande responsabilità è sapere che delle cose che tu dici agli studenti, loro le useranno, quindi esattamente come un coltello che puoi usarlo per tagliare la bistecca quella stessa conoscenza potrà essere usata per fare del bene o del male. Tu hai quindi questa responsabilità. Da un lato dai degli strumenti perché sei là per questo, dall’ altro hai il dubbio che magari li useranno male.”
Irene: “Definiresti l’ambiente scolastico una comunità?”
Professore Lanzavecchia: “Assolutamente. Tanto che l’università si chiama facoltà. La facoltà è un insieme di studenti, docenti e personale amministrativo. questo concetto di facoltà è normale, a scuola però il rapporto è insegnante/studente mentre all’università si da e riceve tra tutti e tre insieme. Non puoi organizzare le lezioni o attività di ricerca senza metterti d’accordo con il personale amministrativo, oppure come docente devi inserirti nella ricerca ma se non hai uno studente con cui poter interagire non c’è questa unione. La comunità comunque non è solo gli studenti ma è estesa anche al territorio che non potrebbe essere neanche Padova o veneto, l’università si rivolge all’umanità intera che sia medicina o scienze naturali, qualsiasi scoperta o studente opererà nel mondo e quindi è comunità. Per esempio se un pensionato viene danneggiato dal fallimento di una banca, la responsabilità è dell’università, la quale non ha formato quelle persone bancarie davanti all’incapacità di risolvere quello che hanno combinato o a prevenire. Quindi per me l’università è la comunità dell’umanità intera.”
Irene: “Parlando del confronto tra studenti / colleghi lo ricevi come un fattore importante?”
Professore Lanzavecchia: “Il vero ricercatore è un uomo del dubbio. Proponendo delle domande e cercando la risposta si procede verso la conoscenza. Siccome non sempre le domande ti vengono spontanee allora è attraverso il confronto tra studente docente o tra colleghi, dal dubbio che sorge, che si trovano le domande e poi le risposte, più persone dubitano più strada in avanti si fa nella conoscenza.”
Irene: “Oltre alle attività teoriche è importante anche fare quelle pratiche?”
Professore Lanzavecchia: “Ci sono certe speculazioni filosofiche che puoi farle guardando il cielo stellato sopra di te. altre invece come fisica o scienze naturali necessitano dell’esperimento. altre ancora, per esempio micro finanza che riguardano i diritti umani e le persone, non le puoi leggere sui libri o vederle sui film e documentari. Certe cose vanno sperimentate nei posti in cui diritti umani e le condizioni di vita sono violate. Va vissuta questa esperienza, senza esperienza/sperimento non c’è conoscenza, essa nasce dentro di te e arriva il momento in cui devi sperimentarti, trovare qualcosa dentro.”
Irene: “E a proposito di esperienza, qual è stata per lei la più bella nel suo percorso lavorativo?”
Professore Lanzavecchia: “Ne avrei una in mente una. Tre anni fa sono andato in Nepal con i miei studenti, in una zona lontana fisicamente a noi ma anche socialmente. Lì infatti ci sono delle differenze sociali chiamate caste, cioè quando uno nasce rimane in quella condizione sociale tutta la vita. Pensate che c’é una casta chiamata “l’intoccabile”. Se un membro di uno stesso villaggio tocca qualcosa che appartiene a un intoccabile tipo un bicchiere lui non berrà più da quel bicchiere …. I miei studenti avevano studiato che la legge vietava questo tipo di discriminazione e volevano sapere se questa tradizione esisteva ancora. Così ho organizzato questa esperienza e sono stati ospitati da una famiglia di intoccabili. Alla fine del nostro soggiorno l’ultima notte abbiamo fatto una festa e alla fine questo ragazzo che ci ha ospitato ci ha salutati e mi si è avvicinato dicendomi grazie per averli fatto passare almeno un giorno da esseri umani come voi. “
Irene: “La nostra professoressa ci ha esposto proprio l’altro giorno la sua opinione sull’importanza di conservare l’italiano anche nell’ambito scolastico, quale sarebbe la sua opinione a riguardo?”
Professore Lanzavecchia: “Allora la costituzione della repubblica italiana già lo prescrive e anzi le nostre università sono state sanzionate quando hanno voluto interrogare tutti i corsi di laurea in inglese. È successo al politecnico ma anche a Padova alla facoltà di economia. dopo il ciclo della triennale su quattro corsi di laurea magistrale tre li hanno fatti in inglese, illegale perché lo studente avrebbe comunque un lessico più ridotto rispetto alle parole che si sanno in italiano. Inoltre lo studente che magari non sa bene l’inglese si ritroverebbe discriminato. Dovrebbe rinunciare a quel corso per questo motivo e quindi il principio di uguaglianza sarebbe violato. Due studenti uno bravo in inglese e l’altro no non potranno avere le stesse opportunità. Il secondo non potrebbe iscriversi a quel corso per la poca padronanza dell’inglese e quindi lo escludi da quel percorso di conoscenza, limitando anche il docente. L’insegnante ha bisogno di esprimersi durante la lezione e se non è bravo in inglese non può farlo per cui limiti la sua libertà di insegnamento. Per me la lingua è come il cibo: è la più alta espressione di cultura di un popolo. Omologarsi nella lingua e nel cibo vuol dire privare della conoscenza un popolo e quando saremo tutti omologati non ritroverai più te stesso. Ci sarebbe il caos.”
Così si conclude l’intervista al professore. Lo ringraziamo tutt’ora per il suo tempo e per le risposte che ci ha dato. Ora speriamo solo che l’intervista possa essere di vostro gradimento e soprattutto che possa esservi utile per comprendere al meglio il tema scuola/comunità.
Intervista fatta da Jessica Serea, Irene Francescon, Elena Sampognaro e Camilla Carraro e scritta a cura di Lizeth Cavinato del gruppo 3 della 1D del Liceo Enrico Fermi di Padova.